Paese che vai: Farsi capire in Svizzera
Le quattro lingue della Confederazione non sono quattro, tra le altre cose
Linguisticamente parlando, la Svizzera mi ricorda la matriosca che un collega regalò a mia madre prima che io nascessi. La matriosca era arrivata a casa nostra dalla Russia: da bambina ne ero molto affascinata. La bambola più grande ne conteneva una seconda, più piccola, e questo rimpicciolimento continuava fino ad arrivare a una bambola minuta ma curata in tutti i dettagli. Mi sembrava incredibile che si potesse decorare così bene un oggetto tanto piccolo. Quella miniatura era la parte più affascinante, e solo dopo averla vista e tenuta in mano per un attimo mi decidevo a ricomporre tutta la matriosca. Quando la figura era nuovamente un’unica donna di legno, con i suoi vestiti dipinti e i colori brillanti, la riconsideravo e pensavo, tu sembri una ma hai tante sorelle dentro di te. Anche la miniatura era lì, piccola e completa: non la vedevo ma sapevo che c’era.
Questo è il primo numero della serie che ho voluto chiamare ‘Paese che vai’: scelgo una destinazione dove il multilinguismo è di casa e ne presento alcuni aspetti e peculiarità. Iniziare con la Svizzera è stato naturale, dato che vivo a Zurigo dal 2019 e sperimento quotidianamente la centrifuga linguistica che caratterizza questo paese.
La ricerca
Sulla carta
Per partire bene direi che è il caso di dare i numeri, o meglio, dei numeri salienti. Nei 26 cantoni svizzeri, le lingue ufficiali sono quattro: tedesco, francese, italiano e romancio. Questo vuol dire, per esempio, che documenti ufficiali e pagine web della Confederazione devono essere disponibili nelle quattro lingue nazionali. (Nella pratica non è proprio sempre così, but let’s not go into that.) La maggior parte dei cantoni è monolingue: per le strade di paesini e città la segnaletica è in una sola lingua, e gli atti ufficiali emessi dalle autorità cantonali e comunali sono anch’essi monolingue. Le eccezioni sono i cantoni di Berna e Friburgo, il Cantone Vallese e la città di Bienne, dove convivono tedesco e francese; nel Cantone dei Grigioni, che è trilingue, le comunicazioni sono in tedesco, romancio e italiano.
Questa infografica ci dice che, in termini di lingua principale, un po’ più della metà della popolazione svizzera è germanofona mentre poco meno di un quarto è francofona. Quello che non dice è che, nell’arco di una settimana, il 75% della popolazione elvetica usa il tedesco almeno una volta, il 40% il francese e il 16% l’italiano. In Svizzera il multilinguismo è una faccenda quotidiana.
Quando sono arrivata in Svizzera, i prestiti linguistici tra lingue nazionali mi sono saltati subito agli occhi (anzi, alle orecchie) e mi hanno fatta sentire un po' più a casa: a Zurigo si sente spesso Merci invece del tedesco Danke, e molti svizzeri tedeschi dicono Velo, che è la parola francese (accento mancante a parte) per bicicletta, invece di usare la parola germanica Fahrrad.
Sul territorio
Se il panorama linguistico della Svizzera si esaurisse qui, con queste quattro aree a coprire la superficie del paese, la questione sarebbe interessante, anche un po’ inusuale… e basta. Per mia fortuna, la faccenda è più complessa.
La Svizzera romancia
Sono le valli dei Grigioni, quelle valli che caratterizzano la Svizzera romancia, che hanno facilitato diverse fusioni tra lingue preromane e latino e generato le varianti odierne della lingua romancia: sursilvano, sottosilvano, surmirano, puter e vallader. Visto? Abbiamo aperto la matriosca e dove pensavamo ci fosse una sola bambola ne abbiamo cinque. Ogni variante ha una sua tradizione orale e scritta; il romancio usato nelle comunicazioni federali e cantonali, tuttavia, è stato creato a tavolino negli anni ottanta.
Che aspetto ha il romancio? Ecco un paio di esempi presi da questa pagina a tema escursioni nella natura.
“La vista è bella”: La vesta ei biala in sursilvano, La vesta e beala in sottosilvano, La vista è bela in surmirano, La vista es bella in puter e vallader.
“Come si chiama questa montagna?”: Co senumna quei cuolm? in sursilvano, Co sanumna quel pez? in sottosilvano, Scu ò'l nom chel piz? in surmirano, Cu ho/ha nom quel piz? in puter/vallader.
Se vi siete incuriositi, il portale della lingua romancia offre molte risorse utili.
La Svizzera romanda
Raramente una mappa linguistica della Svizzera approfondisce la situazione nei cantoni francofoni. Persino alcuni siti ufficiali dicono che sì, certo, fino a una certa epoca in questa regione si parlava correntemente il francoprovenzale, ma ora non è più così e di questa lingua – a sua volta un insieme di tanti dialetti – resta la memoria. Sarebbe eccessivo dire che i patois svizzeri godono di eccellente salute, però non sono per niente scomparsi: per esempio, sono ancora usati in alcuni comuni dei cantoni vallesano e friborghese. Il sito della Fondation du Patois offre molte risorse utili per imparare vocaboli e brevi frasi. C’è anche un servizio, SOS Patois, a cui è possibile rivolgersi per domande specifiche. Qualcuno ha chiesto: come si dice nevicare nel patois della valle di Bagnes? La risposta è, a quanto pare, ‘dipende’: balye a nai vuol dire nevicare, balye de nai significa iniziare a nevicare, e mëshlâ a nai è quando piove e nevica. Et voilà.
La Svizzera italiana
L’italiano parlato in Canton Ticino e nelle valli italofone dei Grigioni esiste anch’esso in più varianti, tutte appartenenti ai dialetti lombardi. Lo svizzero italiano parlato non è necessariamente comprensibile a chi conosce l’italiano, ed è perlopiù una lingua orale... Ma ci sono delle eccezioni, e se volete vederne una subito vi suggerisco di saltare alla sezione Curiosità.
Paltò potrebbe interessare ad altri. Lo facciamo viaggiare?
La chiave di volta
Avete visto che matriosca linguistica? Il più bello però viene adesso, perché non mi sono ancora occupata della Svizzera germanofona. È l’ampia regione dove si parla tedesco, giusto? Magari con un accento – c’è l’accento austriaco, ci sarà pure quello svizzero. E invece no: in città come Zurigo, Basilea e Berna, se andate in giro sentite parlare l’incarnazione locale dello svizzero tedesco, anche noto come Schweizerdeutsch.
Faccio riferimento al sito istituzionale About Switzerland per definire lo svizzero tedesco:
La lingua più diffusa in Svizzera è lo svizzero tedesco, termine generico con cui viene designata l’ampia varietà di dialetti alemanni parlati dalla grande maggioranza della popolazione nella parte germanofona del Paese. I dialetti rappresentano la lingua corrente in tutti gli ambiti e per tutti gli strati sociali. (…) All’interno delle grandi regioni linguistiche si contano inoltre numerosi sottogruppi dialettali, ma tutte le persone che parlano svizzero tedesco si comprendono tra loro.
Confermo. Si parla svizzero tedesco sul tram, negli uffici comunali e cantonali, sul posto di lavoro, al pronto soccorso e all’asilo nido. I bambini e le bambine che crescono nella Svizzera germanofona iniziano a parlare tedesco, detto Hochdeutsch per differenziarlo dalla lingua locale, quando vanno a scuola: mi è stato spiegato che questa politica di promozione dello svizzero tedesco tra i più piccoli è pensata proprio per mantenere vivi i dialetti alemanni.
Gli svizzeri germanofoni capiscono presto se hanno davanti una persona che non sa gestire la loro lingua, e a quel punto c’è chi passa allo Hochdeutsch, chi tenta con un’altra lingua nazionale, chi opta per l’inglese. C’è anche chi non batte ciglio e continua a parlare in svizzero tedesco: chiedete a un tedesco o una tedesca, perché spesso è proprio con loro che gli svizzeri germanofoni mostrano, ehm, una minore apertura linguistica. Insomma, per capire e farsi capire con agio nella Svizzera germanofona fa molto comodo masticare lo Schweizerdeutsch, soprattutto se si è residenti. Almeno lo Hochdeutsch aiuta a imparare lo svizzero tedesco? Poco, perché sono diversi i vocaboli così come lo è la sintassi.
Ero preparata alla porta in faccia linguistica quando mi sono trasferita a Zurigo? No. Come l’ho presa? All’inizio con leggerezza e un certo disinteresse. Poi la pandemia ha attutito i miei scambi vocali e quindi, per un po’, l’aspetto linguistico locale è passato in secondo piano. In quel periodo lavoravo anche in un’azienda dove si parlava inglese, per cui ero in una bolla doppia. Circa due anni fa sono uscita dal bozzolo pandemico e ho cambiato lavoro: sono spuntate le prime occasioni in cui, seduta intorno a un tavolo con dei colleghi, dovevo aspettare il momento giusto durante il chiacchiericcio pre-riunione per chiedere, nel modo più nonchalant possibile, potreste parlare Hochdeutsch per favore?
Ho letto che per gli svizzeri germanofoni lo Schweizerdeutsch è la ‘lingua del cuore’, come a volerla contrapporre alla ‘lingua della ragione’, lo Hochdeutsch, la lingua scritta. Questo è un punto importante: salvo rare eccezioni, lo svizzero tedesco è una lingua orale. Forse in un contesto diverso questi dialetti alemanni sarebbero spariti; in fondo, nella Svizzera romanda il francese ha relegato il francoprovenzale a uno stato linguistico precario. Com’è allora che la Svizzera germanofona resiste? Ho cercato di capire meglio questo fenomeno e non ho trovato risposte definitive: in una certa misura credo ci sia una questione di definizione identitaria – appoggiata, politicamente parlando, da sinistra a destra – in cui entra anche il desiderio di porre una solida distanza dai vicini paesi germanofoni.
A forza di aprire la matriosca abbiamo trovato lo svizzero tedesco, la bambola in miniatura che, ecco, a ben vedere è proprio lì.
Se volete approfondire alcuni aspetti culturali e politici della Confederazione vi consiglio The Passenger Svizzera (pubblicato da Iperborea), dove ho trovato un pezzo della scrittrice Irena Brežná – la quale spara a zero sulla faccenda della lingua del cuore – e una bella intervista di Sieglinde Geisel allo scrittore Peter Bichsel (tradotta da Roberta Gado e adattata dal libro Was wäre, wenn? edito da Kampa Verlag).
Quando Geisel chiede a Bichsel come si sente a parlare svizzero tedesco e scrivere in tedesco, lui risponde così:
In pratica per noi svizzeri scrivere in Hochdeutsch è un po’ come scrivere in latino. Ci stupiamo dei tedeschi che allo sportello della stazione si premurano di parlare come libri stampati per ordinare un biglietto. (…) Per noi formulare frasi in tedesco è un’operazione di scrittura.
Poi Bichsel si concentra sul processo di scrittura e dice:
Sono grato della discrepanza che esiste in Svizzera tra lingua parlata e lingua scritta. Quando uno svizzero scrive in tedesco, può contare su una meravigliosa distanza. Può giocare con questa lingua, costruirci qualcosa. (…) Non riesco a immaginare come sia vivere e scrivere nella stessa lingua.
Mentre preparavo la newsletter mi è anche tornato in mente questo numero di
che si occupa del catalano, di come i dati indichino una sua crisi e di quanto possano variare le percezioni di chi in Catalogna è immigrato da tempo. Se ho ben capito, un fattore che potrebbe aver aiutato l’apparente declino del catalano è la sua debole presenza su social media e canali di comunicazione rivolti ai più giovani. Questo sicuramente non è il caso nella Svizzera germanofona, dove parlare svizzero tedesco è decisamente cool. La newsletter di Ibérica mi ha fornito tanti spunti di riflessione, ma cercare un parallelo tra il caso del catalano e quello dello Schweizerdeutsch non avrebbe alcun senso.Curiosità
Un libro per cui nutro un grande affetto è Le Petit Prince di Antoine de Saint-Exupéry: immaginate la mia sorpresa quando ho scoperto che è stato tradotto in dialetto ticinese!
Questo gioiellino è pubblicato dall’Istituto Editoriale Ticinese (iet), e la traduzione dal francese al ticinese è di Marisa e Gianni Ballabio.
Ecco il passaggio in cui il narratore racconta il suo primo incontro con il piccolo principe:
Pudii ben imaginaa cumè sum restaa da stücch, ‘na matina, quand ‘na vuséta la m’a dissedaa: “Ta m’a diségnaresat par piasé ‘na pégura?”. “Cusè?” “Diségnum ‘na pégura”. Sum saltaa in pée cumè se m’avesa cataa una saeta, frégavi i öcc e ma guardavi in gir. U vist un strano umett chge al ma tirava mia via da doss i so düü öcc tütt seri.
Che ne pensate? Mi sono accorta che durante la (ri)lettura ho interpolato spesso tra italiano e francese, il che mi ha aiutata in una certa misura; sicuramente mi è stato di aiuto conoscere già la storia (ma dai!).
Rigrazio di cuore la iet per avermi inviato una copia omaggio di Ul principe pinin quando li ho contattati, mesi fa, spiegando il mio interesse per l’opera e parlando di Paltò. Vi consiglio di guardare il loro catalogo: io mi sono già segnata un paio di titoli.
Letture affini
Sto scoprendo la letteratura svizzera poco a poco. Questi sono due libri che ho letto con piacere:
Dietro la stazione di Arno Camenisch, pubblicato da Keller editore e tradotto dal tedesco da Roberta Gado. Un bambino racconta un momento ben preciso della sua infanzia nel cantone dei Grigioni, e la tenerezza temeraria del protagonista e delle sue avventure è irresistibile. Camenisch scrive sia in tedesco sia in romancio sursilvano.
Sans alcool di Alice Rivaz, pubblicato in francese da Editions Zoé (e di cui non ho trovato traduzioni italiane). È una raccolta di racconti che mi ha permesso di soffermarmi su aspetti della cultura svizzera come l’educazione religiosa e il ruolo della donna nella società. Se cercate una lettura amena lasciatelo stare, per il momento. Rivaz è una scrittrice importante nel panorama letterario della Svizzera romanda.
Vi incuriosiscono i modi di dire e ne volete imparare un paio in romancio e svizzero tedesco? Date un’occhiata qui:
Grazie per la menzione! Sì, alcuni studiosi risaltano la poca "coolness" percepita del catalano, soprattutto dai giovani e sui social media (ma ci si sta impegnando per far passare il messaggio contrario), ma direi che il problema principale resta il fatto che qui la lingua (il suo uso, la sua promozione) è diventata un potentissimo strumento identitario e poi politico. Molto interessante la serie "Paese che vai", la seguirò con piacere :)
Ciao Gaia! Io ho vissuto un anno a Zurigo e l'unico mio vanto con la Schweizerdeutsch è di essere riuscita a ordinare alla stazione 3 bretzel. Ma attenzione, non ho detto "Drei Brezeln" in Hochdeutsch, bensì "Drüü Brezeln". E il commesso mi ha capita. Insomma, sono soddisfazioni. Per il resto, credo di capire ciò che vuoi dire quando scrivi di "porta in faccia linguistica". Forse, però, è una porta bassa, che si può scavalcare.