Sono molto affezionata al film Le fabuleux destin d’Amélie Poulain. Ne adoro la fantasia senza briglie proprio perché è così, poetico in maniera spudorata. Poi certo, la colonna sonora aiuta. Ho sempre pensato che il momento migliore del film non abbia per protagonista Amélie: la scena più memorabile per me è retta da Gina, una collega di Amélie al Café des 2 Moulins.
Ecco allora Gina che cerca di capire che tipo è Nino, il ragazzo per il quale Amélie ha una cotta (secondo la trascrizione trovata qui):
Nino: Mi chieda qualcosa.
Gina: Ah... Cos'è che non fa una rondine?
Nino: Una rondine? Primavera?
Gina: E l'abito?
Nino: Il monaco.
Gina: Chi si contenta...
Nino: Gode.
Gina: Chi di spada ferisce...
Nino: Di spada perisce.
Gina: Chi dorme non...
Nino: Piglia pesci.
Gina: Del senno di poi...
Nino: Son piene le fosse.
Gina: Ah, molto bene.
Nino: Ne conosce altri?
Gina: A casa mia si dice che chi conosce bene i proverbi non può essere del tutto cattivo.
L’anno scorso, complice un libro eccezionale che avevo comprato da poco, ho dedicato un numero ai modi di dire pescandone qualcuno da italiano, francese, tedesco, svizzero tedesco e spagnolo. Quella newsletter ha avuto molto successo e così, dato che ho trovato una seconda fonte di espressioni idiomatiche a confronto, ho pensato di proporvi un bis in questo mese di luglio.
Pillole di saggezza
Il libro dietro a questa newsletter è intitolato Mediterranean Contaminations - Middle East, North Africa, and Europe in Contact ed è una raccolta di saggi (scritti da vari autori) che si propongono di studiare connessioni e scambi nel Mediterraneo da quattro punti di vista: linguistico, letterario, musicale e paremiologico. La paremiologia è lo studio dei proverbi, qui intesi come luogo di “giuntura, convergenza, incontro e assembramento”. Mettendo a confronto i proverbi di diverse culture mediterranee, che cosa si trova in comune? Cosa si impara da versioni alternative di una stessa pillola di saggezza? La linguista tunisina Jihène Jerbi Monsour si concentra su alcune espressioni idiomatiche in arabo tunisino, francese e italiano e ne spiega significati e implicazioni: è dal suo saggio che ho tratto i modi di dire che trovate di seguito. Dato che il testo di Jerbi Monsour è in francese, ho tradotto in italiano i proverbi tunisini che nel libro compaiono in arabo e francese.
Tutto fumo e niente arrosto
Dire che un’azione o una dichiarazione è tutto fumo e niente arrosto non è un complimento: significa che manca di sostanza, che non è convincente. Dal punto di vista dei nostri cinque sensi, il proverbio italiano fa appello a gusto e olfatto attraverso il riferimento culinario. L’arabo tunisino sfrutta un’immagine simile ma introduce una componente uditiva, parlando di troppi youyous per così poco couscous (trop de youyous pour si peu de couscous): youyou è una parola onomatopeica che, nel mondo arabo, denota le tradizionali grida di gioia in occasione di festività o eventi quali matrimoni e battesimi. Insomma, tanta fanfara per un magro banchetto. Il francese vira con decisione in territorio uditivo e dice che qualcosa produce plus de bruit que de besogne, più rumore che lavoro. Per la serie, va bene la caciara ma almeno che poi se ne veda il frutto.
Paese che vai, usanza che trovi
In francese questo proverbio è chaque pays a ses coutumes, ossia ogni paese ha i suoi costumi. L’arabo tunisino è più specifico: a ogni paese la sua pesata – e qui potrei partire con un lamento sull’incubo di inches, feet, ounces and pounds del mio periodo britannico, ma ci grazio e non mi lascio tentare. Perché il riferimento alle pesate? Jerbi Monsour spiega che, a seconda della regione del paese, si usano (o si usavano, se non altro) unità di misura diverse per la massa, unità che possono cambiare anche a seconda della derrata alimentare: per esempio, si trovano termini specifici per quantificare il volume di liquidi come l’olio d’oliva o pesare il couscous fatto secondo metodi tradizionali. Hai capito!
A mali estremi, estremi rimedi
In questo caso, italiano e francese condividono la stessa formulazione mentre il tunisino offre una nuova sorpresa, dicendo che l’unico rimedio contro l’alito pesante è il souek piccante (in francese, le seul traitement de la mauvaise haleine n’est autre que le souek piquant). A questo punto le domande sono due: cosa è il souek, e perché è un rimedio da adottare solo se si è alle strette? (E, mi chiedo, è meta-paremiologia se per parlare di un proverbio uso un’altra espressione idiomatica?) Il souek è una sostanza estratta dall’albero di arak, una pianta che si trova in Medio Oriente, Iran, India e Pakistan. Il souek è stato usato per secoli perché è un potente antibatterico e quindi, tra le altre cose, può garantire una buona igiene dentale – ma è anche un liquido dal sapore forte e spesso decisamente piccante, per cui se già vi fa schifo il vostro colluttorio di scelta magari lasciate perdere. In Tunisia pare che il souek sia ricavato anche dall’albero di noce e che sia quindi preferibile non abusarne o ingerirlo perché è tossico. Davvero un estremo rimedio… Mints, anyone?
Aspetta e spera
In arabo tunisino, questo proverbio prende una forma che per me ha dell’incredibile: gallina, aspetta che il tuo grano venga da Béja (poule, attends ton grain jusqu’à ce qu’il vienne de Béja). Per dare un senso a questo modo di dire conviene conoscere un po’ di geografia tunisina. La città di Béja si trova nel nord-ovest del paese, a circa 100km da Tunisi. Jerbi Monsour spiega che a Béja il grano non manca: è una zona agricola. Il punto è che è un posto sufficientemente lontano dalla capitale. Va bene, ho pensato, ma se una persona viene da Béja o dintorni questo detto non le dice granché. Perché assumere che la proverbiale gallina si trovi nei paraggi di Tunisi?
Questa considerazione mi ha fatto tornare in mente un proverbio che mio padre tirava in ballo di tanto in tanto: chi c’ha lingua va in Sardegna, scandiva quando mi vedeva troppo esitante o dubbiosa. A me piaceva l’immagine, ma roteavo puntualmente gli occhi perché sono un’introversa a cui interagire con il prossimo non è mai risultato facile. Come nel caso del proverbio tunisino, la domanda è: capisco che questo detto lo usasse la mia nonna paterna, nata e cresciuta a Roma, ma in Sardegna che si dice?
Saggezza collettiva
In questo mio primo anno e qualcosa su Substack, la piattaforma da cui preparo e invio Paltò, ho avuto modo di scoprire tante persone e fonti che mi arricchiscono continuamente. Questo mi sembra un buon momento per segnalare qualche lettura fatta di recente e, a mio parere, infusa di saggezza.
Anna Aresi, traduttrice e “language enthusiast“ come me, scrive la newsletter
e qualche mese fa ha pubblicato questo numero su come gestire la polifonia di due, tre lingue in famiglia quando si esce dal proprio bozzolo protetto. All’inizio mi sono detta, ah ma quanti scrupoli eccessivi, poi mi sono trovata in una situazione simile a quella descritta da Anna e, quasi in automatico, ho seguito un suo consiglio. Ovviamente ho ripensato alla sua newsletter.Federica Tummillo insegna italiano per stranieri ed è l’autrice della newsletter
. Mi ha molto divertita il numero sulle erre, di come siano tutte belle e di come i bambini siano eccezionali nelle loro sperimentazioni.Andrea Alesci, scrittore e formatore, parla di ingressi – intesi come introduzioni alla lettura ma anche come punti d’accesso alle informazioni – e del valore degli inizi in modo davvero bilanciato in questo numero della sua newsletter Linguetta.
Sara pubblica la newsletter
, e spesso mi (ri)suggerisce letture sconosciute o appuntate e poi perse nei meandri della mia pessima memoria: in particolare, mi ha ricordato di leggere Cesare Pavese e di fare qualche ricerca su Alba De Céspedes, di cui lei parla in questa newsletter sull’essere madri e figlie. Spero di dedicare il numero di settembre a De Céspedes – vediamo se ci riesco.
Saggezza d’antan
Se avete perso o volete rileggere il primo numero di Paltò sui modi di dire, le voilà:
Bonus track
Che cosa faccio quando non scrivo questa newsletter? Per lavoro mi occupo di comunicazione scientifica in un’università zurighese. Già, ma che vuol dire essere comunicatrici o comunicatori della scienza? Bella domanda: se la sono fatta anche le fondatrici di Con cura Studio, e nella loro newsletter
intervistano persone che fanno questo mestiere multiforme per capirne meglio le tante ramificazioni. Se volete leggere l’intervista che hanno fatto a me, eccola qui!
Mi ha fatto sorridere il proverbio che tira in ballo la Sardegna, non l'avevo mai sentito! Come dice Federica, in Sardegna rimaniamo dentro i confini isolani e parliamo della mitica Pompu. Però esiste anche il proverbio "Faeddare pagu, sabidorìa meda", che si tiene più prudente: parlare poco è segno di saggezza.
Ciao Gaia, in Sardegna, per riferirsi a un luogo lontano e inaccessibile, si usa l'espressione "A casinu 'e Pompu". Pompu è effettivamente una cittadina dell'entroterra sardo e, come altri paesi dell'isola, in passato era difficilmente raggiungibile per via della configurazione geografica e della quasi assenza di rete stradale. Non so quanta gente conosca Pompu per la verità (io per prima), ma per qualche motivo è entrato a far parte di questa espressione idiomatica piuttosto buffa.
Mi è piaciuta molto questa puntata e mi sono divertita a entrare con te nei meandri di alcuni proverbi, quante scoperte! E sono molto onorata di essere menzionata proprio qui e contenta che alcuni spunti di Mamma Babel, oltre ad essere apprezzati, portino un sorriso :-D
A si biri (arrivederci)