Qualche mese fa ero in libreria e, cercando e curiosando, ho notato il dorso di un libro in francese il cui autore, Vassilis Alexakis, mi era del tutto ignoto e il cui titolo, Ap. J.-C. (che vuol dire dopo Cristo, in italiano), era talmente bizzarro da incoraggiarmi a tirarlo fuori per leggere la quarta di copertina. Il romanzo, pubblicato nel 2007 e premiato in Francia con il Grand Prix du Roman de l’Académie française, si svolge in Grecia ai nostri giorni. È narrato in prima persona da uno studente universitario di storia antica con un interesse per la filosofia presocratica, il quale inizia a raccogliere informazioni sulla comunità monastica ortodossa del Monte Athos su richiesta della sua padrona di casa, una facoltosa quasi-centenaria.
Per ora Ap. J.-C. è una bellissima lettura: è scritto proprio bene, i personaggi sono credibili e la trama funziona. Mi piace anche andare in giro per le strade di Atene, io che nella capitale greca non sono ancora stata, e per altre regioni della Grecia di cui so molto poco.
A convincermi a comprare questo libro sono state la trama e l’ambientazione greca, ma avevo anche memorizzato un dettaglio curioso incluso nella breve biografia dell’autore: Alexakis ha scritto prosa sia in greco sia in francese, vivendo tra la Grecia e la Francia per buona parte della sua vita adulta. Capirete che questo aspetto non poteva non colpirmi! Allora ecco, in questa newsletter vi racconto quello che ho scoperto su un autore che ha pendolato, per così dire, tra due lingue e due culture.
Préférez-vous lire en français ? Et voilà.
La ricerca
Alexakis nasce ad Atene nel 1943 e manifesta presto un interesse per la scrittura. Nel 1961 vince una borsa di studio che lo porta in Francia, a Lille, a studiare giornalismo. Gli anni a Lille non sono dei più ridenti: Alexakis ha nostalgia di casa e gli risulta difficile esprimersi in francese. Nel 1964 torna in Grecia per il servizio militare, ma riparte per la Francia poco dopo il colpo di stato militare del 1967. A Parigi Alexakis trova lavoro come giornalista e mette su famiglia. Nel 1974 esordisce come romanziere – in francese – e inizia così la sua ricca produzione letteraria. Tra il 1974 e il 2015, infatti, Alexakis scrive quattordici romanzi, due raccolte di racconti e un’autobiografia intitolata Paris-Athènes. Parallelamente lavora anche con altre forme – lungometraggi, opere teatrali e per la radio, per citarne alcune. In quanto scrittore bilingue sa di far parte di una minoranza: dalla fine degli anni settanta, quando scrive il suo primo romanzo in greco, si interroga spesso sul rapporto con le sue due lingue, greco e francese, e sul suo processo di scrittura. Alexakis non rientra mai stabilmente in Grecia, ma dopo la caduta della dittatura dei colonnelli torna spesso nella capitale greca e sull’isola di Tinos nelle Cicladi. Muore ad Atene nel 2021.
Il bisogno di chiarezza
Perché uno scrittore greco esordisce in francese? E perché, anche quando inizia a scrivere nella sua lingua materna, non mette da parte la lingua acquisita ma alterna le due in un’esplorazione non sempre distesa dello spazio multilingue che lo circonda? Capita che gli facciano domande di questo tipo, e Alexakis sente che il suo oscillare tra francese e greco non è sempre capito, non è del tutto apprezzato. Cova dubbi e interrogativi per anni, finché non arriva il momento di mettere ordine nei suoi pensieri – cosa che per lui significa scrivere. Nel 1989 pubblica Paris-Athènes, un libro autobiografico che lo rende uno scrittore più sereno. In un’intervista Alexakis dice:
Après tant d'années passées en France, j'avais besoin de savoir qui j'étais. Je me disais qu'il fallait choisir entre les deux pays, entre les deux langues. C'était un moment très angoissant de ma vie. Quand on a adopté une langue étrangère, on se demande si on n'a pas trahi son pays, sa langue, etc. L’écriture de Paris-Athènes m’a permis d’y voir plus clair. J'ai réalisé (…) que j'avais besoin des deux langues. J'ai alors pu continué à écrire de façon beaucoup plus détendue. Ce livre m'a fait comprendre que les langues se connaissent, qu'elles s'apprécient, qu'elles sont en dialogue depuis la nuit des temps et que, par conséquent, il n'y a pas de drame à écrire dans une langue étrangère.
Provo a tradurre questo passaggio in italiano: “Dopo tanti anni passati in Francia, avevo bisogno di sapere chi ero. Mi dicevo che era necessaria una scelta tra i due paesi, tra le due lingue. Era un momento di grande angoscia. Quando si è fatta propria una lingua straniera, ci si chiede se sia un tradimento nei confronti del proprio paese e della propria lingua. Scrivere Paris-Athènes mi ha permesso di vederci più chiaro. Mi sono reso conto (…) che avevo bisogno delle due lingue. In seguito ho potuto scrivere in maniera più distesa. Questo libro mi ha fatto capire che le lingue si conoscono, si apprezzano, che dialogano dalla notte dei tempi e che non c’è quindi alcun dramma nello scrivere in una lingua straniera”. Quanta saggezza, eh?
Conoscete scrittori e scrittrici ai quali piace(va) muoversi tra più lingue?
La questione della scelta
Sempre in Paris-Athènes, Alexakis racconta: ”[Ho] passato ore e giorni a fissare la pagina bianca senza riuscire a tracciare una singola parola: ero incapace di scegliere tra greco e francese. Volevo appunto scrivere della difficoltà di questa scelta, ma come si fa a scrivere senza scegliere”. Alexakis deve analizzare il rapporto con le sue lingue per sbloccarsi. Non ha difficoltà a riconoscere che il francese gli ha aperto “nuovi spazi di libertà”, un tipo di commento abbastanza frequente per un autore multilingue (o translingue, per usare un altro termine che ho trovato nelle fonti che ho consultato). Alexakis non vede questa sua caratteristica come una condizione difficile o svantaggiosa, anzi. All’estremo opposto c’è Vladimir Nabokov, per esempio, il quale descrive con immagini dolorose il suo passaggio dal russo all’inglese. Ma Nabokov era già uno scrittore di mestiere quando prese questa decisione. Alexakis nasce come autore nella sua lingua acquisita; paradossalmente, quando racconta di un percorso difficoltoso si riferisce alla sua riappropriazione del greco, la sua lingua materna. Ricordando i primi passi con la scrittura in francese, Alexakis dice: “Avevo voglia di giocare con i vocaboli che imparavo. Mi divertivo a costruire frasi corte, soggetto, verbo, complemento, soggetto, verbo, complemento. Mi sembrava che le frasi in francese diventassero autonome più rapidamente di quelle in greco”.
Un dettaglio che mi ha fatto immensamente sorridere è stato scoprire che una delle primissime letture di Alexakis in francese è stata La Cantatrice chauve, opera teatrale di Eugène Ionesco che adoro come poche altre. Se non conoscete questo lavoro di Ionesco ve lo consiglio caldamente, anzi, se riuscite a vederlo a teatro è anche meglio: vi farete un sacco di risate. Alexakis parla così di questa sua scoperta letteraria:
Je ne soupçonnais pas que la langue française pouvait me faire rire. Le français me parut soudain très proche : une langue qui vous fait rire cesse d’être une langue étrangère. Les mots qu’employait Ionesco étaient très simples (…). Il a été le premier auteur qui me donna envie d’écrire en français.
Credo che questa osservazione tocchi una corda molto vera: “una lingua che vi fa ridere smette di essere una lingua straniera”. C’è una complicità, nel far ridere, che smorza la sensazione di estraneità. (Penso che sia per questo motivo che sono un po’ felice ogni volta che capisco un gioco di parole divertente in una pubblicità in tedesco o svizzero tedesco in giro per Zurigo: mi sento meno ‘altrove’.)
Ad Alexakis preme molto che le sue storie e i personaggi che le abitano siano credibili: per questo la prima lingua di scrittura deve essere in sintonia con la narrazione e non tradirla. In Paris-Athènes dichiara che ci sono storie che appartengono al greco e altre al francese: sono i personaggi a rivelargli in che lingua parlano, e ogni tentativo di forzare l’ordine delle cose viene segnalato proprio dai personaggi, i quali iniziano a parlare come “funzionari dell’Unione Europea”.
Una volta riconciliato con la sua altalena linguistica, Alexakis è in grado di difendersi meglio da chi mette in dubbio la legittimità del suo bilinguismo letterario:
Tant pis si certains Français ne comprennent pas qu’on puisse écrire dans une langue étrangère par goût, délibérément. Tant pis s’ils considèrent que les ouvrages écrits par des étrangers en français ne méritent l’attention que s’ils garantissent le dépaysement. Tant pis si je dois m’entendre poser, jusqu’à la fin de mes jours, la question : – Ah bon ? Vous écrivez en français ? (…) Tant pis si l’on désapprouve mes allées et venues entre deux langues, si on y voit le signe d’une déplorable légèreté.
“Pazienza se alcuni francesi non capiscono che si possa scrivere in una lingua straniera per il semplice gusto di farlo”, dice Alexakis. “Pazienza se c’è chi non vede di buon occhio i miei andirivieni tra due lingue, se c’è chi ci trova il segno di una deplorabile leggerezza”. Come non dargli ragione, dico io.

La chiave di volta
Dopo Paris-Athènes, inizia un periodo in cui Alexakis alterna quasi sistematicamente le sue lingue. Di questa fase fa parte il romanzo che sto leggendo: originariamente scritto in greco e ambientato in giro per la Grecia, Ap. J-C. è stato tradotto in francese dallo stesso Alexakis. Questo dettaglio mi ha molto incuriosita, ed è stato così che ho scoperto che l’autotraduzione ha caratterizzato bene o male tutta la sua produzione letteraria. Ho cercato di capire le motivazioni che lo hanno spinto ad assumere il doppio ruolo di scrittore e traduttore, e una bella risposta è arrivata sotto forma di metafora. Pare che Alexakis dicesse che scrivere è come fare a maglia: gli servivano due spunti narrativi per sviluppare un romanzo, due spunti come due ferri da maglia per dare vita al tessuto del testo (e non a una sciarpa, toh). Ritrovo questa immagine in Ap. J-C., dove sono percepibili due idee narrative intrecciate: una mostra il fascino che il protagonista prova per l’eredità della Grecia antica e il pensiero presocratico, l’altra segue il narratore nella sua ricerca di informazioni sui monaci ortodossi del Monte Athos, sulla loro storia e il loro stile di vita.
A pensarci bene, credo che per Alexakis le sue lingue fossero altri due strumenti con cui sferruzzare le sue storie. Ecco come descrive la sua procedura di autotraduzione: “Scrivo una prima versione. Appena il libro esiste ma non è ancora definitivo nella prima lingua, prolungo il lavoro di scrittura attraverso una revisione di quella prima versione in una lingua diversa. (…) Si potrebbe dire che non c’è una versione originale. La versione definitiva del testo compare nella seconda lingua. In questo senso, si instaura un dialogo tra le due lingue che precede la pubblicazione”.
L’autotraduzione diventa uno strumento diagnostico per capire quali sono le parti deboli della versione nella prima lingua. Lavorando in due lingue, Alexakis cerca un equilibrio tra due culture. Nel suo doppio ruolo, l’autore acquista una maggiore libertà nella scelta delle parole e dei registri: ancora una volta, gioca con le lingue per rendere le sue storie realistiche sia in greco sia in francese. In questo senso, si può dire che ogni opera di Alexakis è data da due versioni originali e definitive.
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“Nous sommes les enfants d’une langue. C’est une identité que je revendique. J’écris pour convaincre les mots de m’adopter”. / “Siamo i figli di una lingua. Rivendico questa identità. Scrivo per convincere le parole ad adottarmi”. Vassilis Alexakis
Letture future, forse
Ecco una breve selezione di opere di Vassilis Alexakis che considero promettenti:
Paris-Athènes, di cui non ho trovato una traduzione italiana. Possibile? Se la scovate, scrivetemi o lasciate un commento su Substack così rettifico.
Direi che questa autobiografia è una miniera di riflessioni stimolanti, quindi credo che prima o poi la leggerò per bene. Intanto ho trovato la traduzione inglese di un estratto su Words Without Borders.
Les Mots étrangers, di cui non sembra esistere una traduzione italiana. E due!
Pubblicato nel 2002, è un romanzo che parla di uno scrittore greco che vive a Parigi e, a seguito della morte del padre, decide di imparare il sango, una lingua africana. Mi sembra una storia vagamente improbabile: mi incuriosisce.
L’Enfant grec, tradotto in italiano da Stefano A. Cresti per Gremese Editore con il titolo Il ragazzo greco.
Questo libro del 2012 è una sorta di omaggio al Jardin du Luxembourg parigino, luogo frequentato dal narratore mentre si rimette da un’operazione chirurgica e nel quale incontra persone di tutte le sorte. Qui sono di parte, perché il Jardin du Luxembourg è un posto speciale anche per me e mi piace l’idea di tornarci con gli occhi di qualcun altro.
Se vi ha incuriosito il romanzo che sto leggendo, in italiano si intitola d.C. ed è pubblicato da Crocetti nella traduzione di Maurizio De Rosa.
Fonti
Per scrivere questo numero ho attinto a queste fonti:
La monografia Vassilis Alekaxis. Chemins croisés edita da Presses Universitaires de Rennes e curata da Marianne Bessy e Ioanna Chatzidimitriou.
L’articolo di ricerca “L’enjeu de la traduction chez Vassilis Alexakis”, apparso sulla rivista TTR, volume 25(2), pp. 45-71 (2012) a firma di Anthoula Rontogianni e Katerina Spiropoulou.
Questo articolo di Alain Ausoni, pubblicato originariamente sulla Revue critique de fixxion française contemporaine.
Questo podcast di France Culture.
Grazie per questa bella recenzione e per avermi fatto scoprire questo scrittore. Corro in libreria!
Il post ha un forte eco nella mia esperienza multilingue. Il francese e l'italiano condividono Il mio cervello ormai da anni e hanno fatto spazio alle altre lingue nel tempo. Come Alexakis, ho cercato a lungo in quale lingua esprimermi nei miei testi. Alla fine, il romanzo che scrivo è in italiano, la mia newsletter in inglese, ma tutte le prime stesure e gli appunti sono in Francese. Alla fine ho deciso di non impedirmi di scrivere certi post o note nelle 5 lingue che formano oggi la mia personalità.
Ah, you made me very curious about Alexakis! Also, sorry for responding in English, but my written Italian is simply awful. Here are some other people I thought of- Velibor Colic (Bosnian author writing in French), Agota Kristof (Hungarian writer who lived in Switzerland and wrote in French.), Brina Svit (Slovenian author who writes in French and I believe she translates her own books into Slovene - and her first few books were written in Slovene). Also Aleksandar Hemon who is Bosnian but writes in English- not sure he translates his own writing back into Bosnian.
It think about this a lot, as I have lived outside of Slovenia (my country of origin) for the last 15 years and I don't speak in my mother tongue on a daily basis- and I write in English for public consumption and in a mix of Slovene and English in my private notes.
On language and identity, I also think of Eva Hoffman, and her book Lost in translation: A life in a new language.
Ah, and what about Jhumpa Lahiri- what are your thoughts on her?
As always, Gaia, so much food for thought, thank you!