A fronte, il testo
Che cosa ho trovato quando mi sono interrogata sulle esperienze di lettura con e senza testo a fronte
A volte mi capita di farmi una domanda e di girarci intorno a lungo senza avere tempo o modo di cercare elementi di risposta. Di questa particolare domanda non ricordo nemmeno l’origine, e se finalmente l’ho presa sul serio è stato grazie a Paltò. Diciamo che voglio leggere Le Petit Prince di Antoine de Saint-Exupéry in italiano. Come cambia la mia esperienza di lettura se scelgo una versione che include il testo francese? Ho qualche libro bilingue dove a seconda del caso la traduzione o l’originale è, appunto, a fronte. Mi è sempre piaciuta l’idea della compresenza di due lingue, ma finora le mie esperienze con il testo a fronte hanno lasciato spesso l’impressione di una lettura disorganizzata e, nel complesso, non molto soddisfacente. Se poi acquisto un particolare libro bilingue per ampliare il mio vocabolario in una lingua in corso di apprendimento – il tedesco, per dire – allora l’esito può essere anche più sconfortante: volume sfogliato, mai letto per intero. In passato ricordo che mi ha scoraggiata il ping pong tra le pagine e le lingue che erodeva la mia concentrazione, non mi stimolava a imparare vocaboli nuovi e non mi faceva neanche gustare la storia.
La ricerca
Il frutto delle mie prime ricerche è stato farmi passare troppo tempo a guardare i siti web di case editrici che pubblicano libri con testo a fronte, il che ha generato vari e pericolosi casi di “Ah, bello questo libro, mi piacerebbe leggerlo”. (Ma poi lo leggerei? Forse contribuirebbe alla mia antibiblioteca, come spiegava Letizia Sechi qualche tempo fa nella sua newsletter Alternate Takes.)
L’offerta
Mi ha colpita il numero di case editrici che propongono almeno una collana di narrativa con testo a fronte, così mi sono incuriosita e ho provato a capire se siano edizioni curate ad hoc. Nella maggior parte dei casi, direi che chi ha tradotto l’opera originale è la stessa persona la cui traduzione compare nell’edizione con testo a fronte. Per esempio, Garzanti offre una versione di Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane di James Joyce col testo originale a fronte e la storica traduzione di Cesare Pavese. In altre occasioni ho notato che la traduzione è stata pensata per una particolare edizione bilingue. Un esempio è quello di Foglie d’erba di Walt Whitman: ne esistono varie edizioni, molte delle quali hanno il testo inglese a fronte. Questa ricca offerta potrebbe essere dovuta alla storia di Foglie d’erba, che negli anni passò da una raccolta di 12 poesie a un’opera di quasi 400 composizioni. L’inusuale coesistenza di più versioni di una stessa raccolta poetica sembra aver portato alcuni editori a proporre una varietà di traduzioni, presentando anche selezioni speciali a cura del traduttore o della traduttrice. Due volumi che potrebbero essere interessanti sono:
Una selezione edita da Mondadori a cura del traduttore e poeta Giuseppe Conte, con uno scritto di Henry David Thoreau.
La traduzione del poeta Alessandro Ceni della prima versione della raccolta, pubblicata da Feltrinelli.
Le scelte
Quali sono i libri che vengono più spesso scelti per edizioni con testo a fronte? Direi che le case editrici prediligono (raccolte di) racconti e poesie, e che in molti casi preferiscono concentrarsi sui classici. Sono scelte comprensibili: i racconti, nella loro forma breve, permettono di raddoppiare il numero di pagine senza creare dei mattoni buoni per fermare le porte. Se poi sto studiando francese e voglio allenarmi nella lettura di autori francofoni magari preferisco un testo di Guy de Maupassant a quello di un contemporaneo che non ho mai sentito nominare. La casa editrice francese Gallimard propone una collana che mi è parsa bella e varia: ho contato molti racconti, qualche romanzo, una raccolta di haiku e alcuni saggi.
Capisco anche la scelta di pubblicare raccolte di poesia con testo a fronte, perché credo che vedere – e sentire, leggendo a voce alta – i testi in lingua originale possa arricchire l’esperienza di lettura. (E forse con la poesia si corre un rischio minore di cadere in quel ping pong tra le due lingue di cui ho conservato ricordi spiacevoli? Non so.) Mi ha fatto piacere scoprire che Il tempo è una madre di Ocean Vuong, tradotto da Damiano Abeni e Moira Egan, è stato pubblicato con il testo inglese a fronte da Guanda.
Un settore importante in cui il modello bilingue può aggiungere una prospettiva preziosa è quello della letteratura per l’infanzia. La casa editrice Edition bi:libri, per esempio, propone titoli in tantissime coppie linguistiche – il numero maggiore che mi sia capitato di vedere finora. Di recente ho scoperto anche la letteratura multilingue per l’infanzia, in cui non ha neanche più senso parlare di testo a fronte: questo numero della newsletter Parlo anch’io! di Anna Aresi segnala alcuni titoli che mi sembrano interessanti.
Qual era la domanda iniziale?
Io però volevo sapere come cambia l’esperienza di lettura con e senza testo a fronte. Dopo essermi felicemente impantanata tra i cataloghi online delle case editrici, ho provato a riportarmi nella direzione della domanda originaria e non ho trovato nulla di significativo. Forse ho cercato male, ho pensato, allora ho interrogato il modello di intelligenza artificiale Gemini e, dopo un paio di tentativi, sono riuscita a formulare il mio quesito in maniera comprensibile. Gemini ha trovato poco e concluso il suo output con queste righe:
Unfortunately, I found limited studies that directly and extensively compare the subjective reading experiences (enjoyment, sense of accomplishment, etc.) between parallel texts and translated books. This could be an interesting, though challenging, area for further research.
Gemini mi ha segnalato pochi link relativamente utili: il blog di un insegnante di lingue, un articolo di ricerca (non accessibile) il cui autore si è chiesto quanto sia utile il testo a fronte quando si sta imparando una lingua straniera. Il parallel text rende più difficoltosa la lettura o aiuta l’apprendimento linguistico? Pare che questo dipenda dal livello di conoscenza della lingua e dall’obiettivo che ci si pone (imparare vocaboli nuovi, per esempio), ma sospetto che non ci sia una risposta univoca.
Studi di questo tipo sono rilevanti per chi insegna e chi impara le lingue, ma la mia domanda era diversa perché partiva da un presupposto preciso: diciamo che io quelle lingue già le padroneggio, e se scelgo un’edizione bilingue non lo faccio necessariamente per stimolare il mio apprendimento linguistico.
La chiave di volta
Mentre ero a Roma, ho ripreso in mano un volumetto comprato oltre vent’anni fa. Il libro è Selected Poems di William Blake ed è composto dal testo originale inglese, dalla traduzione francese di Georges Bataille e dalla versione italiana di Giuseppe Ungaretti – una raccolta di poesia trilingue, evvai. Penso che lo comprai perché mi piaceva l’idea di un libro che contenesse tutte le lingue che conoscevo all’epoca, e in più c’era una breve poesia di Blake che mi era rimasta impressa (“Auguries of Innocence”, se non sbaglio scoperta grazie al film Tomb Raider con Angelina Jolie). Negli anni ho sfogliato questo libro occasionalmente e, chissà perché, non ho mai guardato quali fossero gli altri titoli della collana. Quest’anno però l’ho fatto perché avevo già in cantiere questo numero di Paltò, e mi si è aperto un piccolo mondo. La collana Einaudi Sts, Scrittori tradotti da scrittori, comprendeva una Serie trilingue che proponeva un assetto tipografico particolare: testo originale con traduzione a fronte in lingua diversa dall’italiano e versione italiana in calce. Per esempio: in Le cimetière marin di Paul Valéry si può leggere l’originale francese insieme alla traduzione spagnola di Jorge Guillén e alla versione italiana di Mario Tutino. Ogni volume include anche una nota critica del curatore o della curatrice. La Serie trilingue si concentrava su testi brevi: racconti, novelle e poesie.
Grazie alle Biblioteche di Roma sono riuscita a sfogliare Mal vu mal dit di Samuel Beckett, dove al testo francese (originariamente pubblicato da Les Éditions de Minuit) si aggiungono la traduzione inglese dell’autore e la versione italiana di Renzo Guidieri. Riporto alcuni passaggi dai risvolti di Mal vu mal dit e dei Selected Poems:
Malgrado qualche raro precedente, la compresenza di tre lingue costituisce una novità editoriale assoluta, e certo, sulle prime, potrà disorientare. Se già il tradizionale testo a fronte costringe lo sguardo a una sorta di ‘effetto tennis’, cosa accadrà con tre campi visivi?
Poiché la compresenza di tre lingue sulla pagina costituisce una proposta editoriale senza precedenti, il nuovo assetto tipografico costituirà un invito a superare i consueti automatismi di lettura.
In tempi di pesante omologazione culturale, sotto la crescente minaccia di un esperanto planetario, questa “sfida” vuole esaltare la pluralità delle lingue (…).
Beh, per il momento direi che “la minaccia dell’esperanto planetario” l’abbiamo schivata. Di omologazione culturale credo ci si lamenti a fasi alterne da decenni. L’assetto tipografico e i “tre campi visivi” sono aspetti che, dopo aver lavorato nel settore editoriale, apprezzo con maggiore interesse perché ne colgo meglio la valenza e le implicazioni.
Con questa Serie trilingue ho l’impressione che Einaudi volesse dare un ruolo nuovo al testo a fronte, un ruolo meno legato all’apprendimento di una lingua straniera e più vicino a quello che forse continua a spingere me verso alcune edizioni bilingue o multilingue – la soddisfazione di accedere simultaneamente a una stessa opera in lingue diverse. Non so una parola di spagnolo, ma non direi di no a Le cimetière marin di Valéry: forse del testo in spagnolo sbircerei solo qualche riga qui e lì o forse non lo guarderei neanche, ma non mi disturberebbe averlo sulla pagina – anzi. Forse Einaudi ha concepito i libri della Serie Trilingue più per una lettura di consultazione e curiosità che per una lettura lineare, dalla prima alla quarta di copertina?
È proprio in modalità curiosa che ho letto Mal vu mal dit, saltellando da una lingua all’altra per considerare vocaboli e punteggiatura, per interrogarmi su sonorità e cadenze. A volte ho dato un’occhiata all’italiano, soprattutto quando il testo mi è risultato poco chiaro sia in francese che in inglese. In Mal vu mal dit la trama è pressoché inesistente e l’unico appiglio è la voce del narratore, il quale segue e descrive (o tenta di descrivere) una donna anziana e malandata nei suoi (pochi) spostamenti. Non lo definirei un testo semplice o rilassante.
In passato le mie letture con testo a fronte sono state poco soddisfacenti perché scarsamente concentrate. Qui è successo il contrario, perché il ping pong l’ho fatto lo stesso ma in maniera intenzionale, strutturata e quindi non faticosa. Credo che ad aiutare la mia concentrazione sia stata proprio la presenza di tre lingue che conosco bene proposte in questo specifico assetto tipografico. Dal mio punto di vista Einaudi è riuscita a creare un’alternativa ai “consueti automatismi di lettura” in favore di esperienze di lettura nuove e fresche. Evviva.
Curiosità
Come fa notare la curatrice Nadia Fusini nella sua nota, l’autotraduzione di Beckett è cosa a sé rispetto allo scrittore o alla scrittrice che traduce un o una collega. Con Mal vu mal dit viene fuori che più che di opera tradotta si potrebbe forse parlare di opera sorella, strettamente legata all’originale ma con tratti unici: Beckett a volte ha (ri)scritto, non ha tradotto.
Puis tout aussi soudain là de nouveau. Longtemps après. Ainsi de suite. Tout autre renoncerait. Avouerait, Personne. Plus personne. Tout autre que l’autre. L’autre attend qu’elle reparaisse. Pour pouvoir reprendre. Reprende le – comment dire? Comment mal dire?
In inglese, la frase conclusiva di questa passaggio è “Resume the – what is the word? What the wrong word?”: mi colpisce che in francese sia “dire male” (lo stesso vale per la traduzione italiana) mentre in inglese sia “la parola sbagliata”. In tante conversazioni può capitare di usare questa o quella parola inappropriata; dire male è più totalizzante, significa proprio non sfruttare le capacità espressive di una lingua.
Jusqu’à plus trace. A la surface. Au lieu de s’acharner sur place. Sur telle et telle trace. Encore faut-il le pouvoir. Pouvoir s’arracher aux traces. De l’illusion.
Qui mi è piaciuto soprattutto “s’acharner sur place”, accanirsi sul posto, perché per me crea un’immagine forte in poche parole. E poi c’è “Encore faut-il le pouvoir”, certo bisogna poterlo fare, una frase con una costruzione efficace che esprime il dubbio senza punti interrogativi. Ecco lo stesso passaggio in inglese:
Till no more trace. On earth’s face. Instead of always the same place. Slaving away forever in the same place. At this and that trace. And what if the eye could not? No more tear itself away from the remains of trace. Of what was never.
In queste righe trovo che il francese sia più agile dell’inglese; la voce francese è più convincente, ecco. Trattandosi di Beckett è possibile che le differenze tra le due lingue fossero volute? Chissà.
Letture ricercate
I volumi della Serie trilingue sono pressoché introvabili, soprattutto se si è interessati a comprarli. Per quanto riguarda prestiti e consultazioni, le Biblioteche di Roma hanno pochi titoli della serie. La Biblioteca Nazionale ne ha molti, per fortuna, ma l’ho scoperto tardi. Speravo nel circuito dell’usato e invece niente. Come mi ha suggerito una volontaria di Book-Cycle, è probabile che chi ha uno di questi libri se lo tenga stretto. Ho cercato su maremagnum.com e contattato il programma Fahrenheit di Rai Radio 3. I due volumi che mi incuriosiscono di più e che se possibile mi piacerebbe comprare sono entrambi di Edgar Allan Poe:
Abitazioni immaginarie, con la traduzione francese da Charles Baudelaire (il quale selezionò i tre testi di Poe inclusi in questa edizione perché li considerava affini) e le versioni italiane di Giorgio Manganelli, Ludovica Koch e Elisabetta Mazzarotto.
The raven – Ulalume – Annabel Lee, tradotto in portoghese da Fernando Pessoa (no, non parlo portoghese) e in italiano da Antonio Bruno, Gabriele Baldini ed Elio Chinol.
Se vi capita di avvistare una copia me lo fate sapere? Ancora meglio: prendetela voi e poi ditemi com’è andata la partita di ping pong, ah-ehm, volevo dire, la lettura.
Gaia sono appena tornata da una summer school di traduzione (io ho portato un ms di poesia italiano > inglese) e ti ho pensato molto! Abbiamo parlato anche di testi a fronte. Materiale per un'email più approfondita, ma intanto di lascio questa nota e un saluto!